Avvocato Brescia | Furto in abitazione e furto con strappo
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furto con strappo

Furto in abitazione e furto con strappo

Analisi del reato di cui all’art. 624 bis c.p.

Complice il crescente numero di casi di furti in abitazione o con strappo, con la l. 26 marzo 2001, n. 128 il legislatore ha scelto di rendere autonomo il reato di cui all’art. 624 bis c.p., rubricato – appunto – Furto in abitazione e furto con strappo.

Cerchiamo di comprendere quali siano gli elementi oggetti e soggettivi di questo profilo di reato, quali le circostanze e i rapporti con gli altri reati e, infine, analizziamo sinteticamente un caso affrontato dalla giurisprudenza, con cui è stata data applicazione del tenore dell’art. 624 bis c.p.

Art. 624 bis c.p. Furto in abitazione e furto con strappo

Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500.

Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona.

La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61.

Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti.

L’elemento oggettivo del reato

L’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 624 bis c.p. è rinvenibile nel primo comma dello stesso articolo, laddove ci si riferisce al reato di furto di una cosa mobile altrui, ovvero qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazione, impossessamento o appropriazione, e che possa essere trasportata da un luogo all’altro.

Non basta, tuttavia, la qualificazione della consistenza materiale per rendere il bene oggetto della condotta criminosa di cui all’art. 624 bis c.p. Come vedremo occorre infatti verificare il profitto illecito di colui che se ne è impossessato, così come la altruità della cosa, ovvero la proprietà o il possesso di altri, e su cui l’agente non ha alcun diritto di esercitare il potere che ha effettivamente esercitato.

Ciò premesso, come vedremo nei prossimi paragrafi, per configurare il reato di cui all’art. 624 bis c.p. è anche necessario che si verifichi l’introduzione nella privata dimora, o lo strappo della cosa mobile altrui dalle mani o di dosso della persona.

L’elemento soggettivo del reato

Come avviene con il reato di furto, anche nel caso del reato ex art. 624 bis c.p. l’elemento soggettivo utile per la sua configurazione è il dolo specifico. Si richiede cioè da parte del soggetto attivo la piena volontà di accedere alla dimora privata e impossessarsi di cosa altri, per trarre profitto per sé o per altri.

Si tenga conto che è proprio il concetto di profitto a permettere una facile differenziazione tra il reato di cui si parla, e quello del danneggiamento, in cui invece il possesso della cosa altrui avviene allo scopo di deteriorarla o distruggerla, o ancora dalla sottrazione con intento puramente di scherzo.

Per quanto poi riguarda l’interpretazione del profitto, consolidato è l’orientamento giurisprudenziale che porta a valutarlo come qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale (bensì psichico, di studio, ecc.).

È infine fondamentale, per configurare il reato, che vi sia la piena consapevolezza che la cosa mobile appartiene ad altri. L’errore sull’appartenenza altrui del bene, o la credenza di impossessarsi di una res altrui, con il consenso dell’avente diritto, fa dunque venire meno il dolo.

Le circostanze

Riprendiamo per un momento quanto afferma il primo comma dell’art. 624 bis c.p., laddove si riferisce al furto compiuto “in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”.

Il quid pluris rispetto all’ipotesi di furto comune è dunque il nesso finalistico tra l’introduzione nella privata dimora e l’impossessamento della cosa altrui. Il tenore letterale della norma lascia però ampio spazio alle interpretazioni, considerato che non sempre è così scontato trovare i criteri sulla base dei quali classificare ogni luogo come “privata dimora”.

Per arrivare a una valutazione più consapevole si può pertanto rammentare come il reato di cui all’art. 624 bis c.p. preveda una figura complessa, che attinge sia dal reato di furto ex art. 624 c.p. che dal reato di violazione di domicilio ex art. 614 c.p.

Ma perché è utile richiamare alla mente questi collegamenti normativi?

La risposta è abbastanza semplice. Se il soggetto passivo del reato è il titolare dello ius excludendi, può esercitare il diritto che gli permette di vietare l’ingresso o la permanenza nel luogo adibito ad abitazione o privata dimora. Dunque, se l’ordinamento riconosce a un soggetto lo ius excludendi, riguardo a un determinato luogo, quel luogo può essere inteso o equiparato a privata dimora.

Tale spunto interpretativo di base è stato poi arricchito, negli anni, da diverse sentenze della Corte di Cassazione che hanno finito con l’intendere come privata dimora tutti quei luoghi non pubblici in cui le persone possono trattenersi per compiere, anche in modo transitorio, atti della vita privata, o attività di carattere culturale, professionale e politico.

Per quanto concerne poi il riferimento ai “luoghi non pubblici”, sembra prevalente l’orientamento di chi ritiene che si tratti di luoghi in cui l’ingresso possa essere selezionato a iniziativa di chi ne abbia la disponibilità.

Il secondo comma dell’art. 624 bis c.p. disciplina invece il furto con strappo (scippo), che si concretizza nell’impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, per trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso dalla persona.

Dunque, siamo di fronte a un atto violento esercitato sulla cosa, e non sulla persona (cosa che invece concretizzerebbe il reato di rapina).

Ciò premesso, possono costituire circostanze aggravanti, tra le altre:

  • l’uso di violenza sulle cose o l’essersi avvalsi di un mezzo fraudolento per eludere gli ostacoli che si frappongono tra il soggetto attivo e il bene;
  • il possesso di armi o narcotici, senza farne utilizzo;
  • l’aver compiuto il reato con destrezza.

Il rapporto con altri reati

Il reato con cui quello dell’art. 624 bis c.p. ha i maggiori rapporti è quello del furto, di cui abbiamo già anticipato alcuni contenuti nelle scorse righe.

Tuttavia, appare evidente come l’accennata natura complessa dell’ipotesi di cui qui si parla non possa non farci richiamare brevemente la violazione di domicilio ex art. 614 c.p. Analizzeremo invece nel prossimo paragrafo la relazione con il reato di rapina.

Casistica

Da quanto sopra abbiamo riassunto, la distinzione tra furto semplice e furto con strappo dovrebbe essere abbastanza palese. Più difficile potrebbe invece essere l’individuazione della differenza tra furto con strappo e rapina ex art. 628 c.p.

Sul tema si è peraltro espressa più volte la Suprema Corte, con un orientamento oramai prevalente. Tra le più recenti pronunce rammentiamo la Cass. Pen. Sez. II, 9 ottobre 2018, n. 45409, secondo cui la linea di demarcazione che esiste tra il reato ex art. 624 bis co. 2 c.p. e quello ex art. 628 c.p. è da ricercarsi nella direzione finalistica della vis esercitata dall’autore del crimine, che nel reato di rapina è orientata in via diretta e immediata sulla vittima, quale “mezzo” per ottenere il possesso del bene.

Nella fattispecie di cui si sono occupati i giudici nella citata sentenza, la ricostruzione ha permesso di chiarire come il soggetto passivo “vanamente tentava di trattenere a sé la borsa”, quale cosa altrui elemento del reato. I giudici di appello avevano poi ricostruito come il soggetto passivo avesse “subito violenza nel tentativo di resistere al (OMISSIS) e indizio chiaro del tipo di forza sviluppato dall’imputata è la collocazione delle lesioni patite dalla donna alle dite a al gomito, che dimostrano come l’azione del (OMISSIS) fosse rivolta alla persona oltre che alla cosa”.