Avvocato Brescia | Il reato di violenza sessuale
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Il reato di violenza sessuale

Il reato di violenza sessuale rientra tra i delitti contro la libertà sessuale, che sono ricompresi nella più ampia categoria dei delitti contro la libertà individuale.

Con l’evoluzione del quadro giurisprudenziale e dell’intervento del Legislatore la relativa disciplina ha subito molteplici modifiche, venendola a rendere ancora più rigida.

L’ultimo interessante intervento normativo è la Legge numero 69/2019 (Codice rosso in vigore).

Premessa: la legge n° 66 del 1996

I reati lesivi della libertà sessuale sono stati ampiamenti oggetto di una legge fondamentale, la Legge n. 66 del 1996, recante “Norme contro la violenza sessuale”, la quale è intervenuta su 3 aspetti principali:

  • I reati sessuali non devono considerarsi reati contro la moralità pubblica bensì reati contro la persona: gli atti sessuali compiuti contro la volontà della vittima devono essere sanzionati in quanto offendo la libertà sessuale dell’individuo, e non il pudore della collettività;
  • La creazione di un unico reato – il reato di Violenza sessuale per l’appunto – che sanziona con la medesima pena la c.d. congiunzione carnale [precedentemente disciplinata dall’art. 519 c.p.] e i c.d. atti di libidine violenti [precedentemente disciplinati dall’art. 521]. Il nuovo art. 609bis c.p. sanziona penalmente qualsiasi “atto sessuale” compiuto contro o senza il consenso della persona offesa, indipendentemente dal fatto che vi sia stato o meno il coito tra autore del reato e vittima;
  • L’introduzione del reato di Violenza sessuale di gruppo, al quale viene dedicata un’apposita norma – l’art. 609octies del Codice Penale – al fine di riconoscere la tipicità e la maggiore gravità di quegli atti sessuali compiuti contro o senza il consenso della persona offesa da almeno due persone in concorso tra loro.

Solo dal 1996, pertanto, la violenza sessuale è riconosciuto come un reato contro la persona, subito da chiunque viene costretto o indotto all’atto sessuale senza avervi acconsentito. Ed è sempre con la Legge 66 del 1996 che si cerca di porre fine a quella prassi giudiziaria che conduceva ad una vittimizzazione secondaria della persona offesa dal reato sessuale, la quale veniva sottoposta a domande che investigavano minuziosamente ed in diverse fasi del procedimento il tipo di offesa subita: ella era costretta a rivivere l’episodio violento, scendendo nei particolari, il tutto affinché si comprendesse se vi era stata o meno la congiunzione carnale.

Nonostante la legge del 15 febbraio 1996 n.66 sia diretta, ovviamente, a tutti quei soggetti siano essi maschi o femmine, adulti o minori, che con violenze o minacce o mediante abusi d’autorità siano costretti a compiere o subire “atti sessuali”, comunque una tutela particolare è riservata ai minori in ragione della loro immaturità psichica e fisica, della loro conseguente incapacità di esprimere un consenso automaticamente libero e cosciente: in questi casi, sono previste pene più alte.

Per quanto concerne le pene disposte dalla Legge n. 66 del 1996 per le varie tipologie di reati sessuali, ricordiamo che:

  • la violenza sessuale e gli Atti sessuali con minorenne [art. 609quater c.p.] sono sanzionati con la pena della reclusione da cinque a dieci anni;
  • per la Corruzione di minorenne [art. 609quinquies] è prevista la reclusione da sei a tre anni;
  • il reato di violenza sessuale di gruppo è sanzionato con la pena della reclusione da sei a dodici anni.

Le seguenti pene aumentano nei casi previsti dall’art. 609 – ter c.p. che disciplina le c.d. circostanze aggravanti.

Oltre alle suddette pene principali sono previste a tutela della persona offesa le seguenti pene accessorie:

  • l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinenti alla tutela ed alla curatela;
  • la perdita della potestà del genitore;
  • la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa.

Le suddette pene sono state ulteriormente inasprite per l’effetto della Legge n. 69/2019 [c.d. Codice Rosso], riforma oggetto di approfondimento del prossimo articolo.

Una precisa tutela è indirizzata alla riservatezza della persona offesa: è punibile con l’arresto dai tre ai sei mesi chiunque divulghi anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della vittima di violenze senza il suo consenso.

Per quanto concerne le condizioni di applicabilità della normativa, chiunque sia vittima di “atti sessuali”, può denunciare il fatto agli organi competenti entro sei mesi dal fatto delittuoso. Una volta fatta la querela, non può più essere ritirata.

L’art. 609 bis del codice penale

“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, è punto con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

  • abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
  • traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i 2/3”

L’art. 609 bis del codice penale individua al primo comma la violenza sessuale per costrizione, prevedendo quali modalità esecutive la costrizione, la minaccia e l’abuso di autorità.

Per minaccia deve intendersi l’espresso avvertimento che in caso di opposizione alla violenza verrà arrecato un danno alla vittima o ad altre persone o cose.

Per abuso di autorità deve intendersi il coartare la volontà del soggetto utilizzando la propria posizione di superiorità o preminenza.

Al secondo comma dell’articolo 609-bis, invece, viene individuata la violenza sessuale per induzione, determinando le modalità esecutive nell’abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa e l’inganno con sostituzione di persona.

L’ultimo comma della disposizione normativa sancisce una diminuzione della pena non eccedente i due terzi per i casi di minore gravità. Nonostante sia stata eliminata la differenziazione tra congiunzione carnale – a suo tempo punita più severamente – e gli atti di libidine violenti, persiste quindi uno strumento che consente al Giudice di modulare la pena tenuto conto delle circostanze del caso concreto.

Il concetto di atti sessuali – casistica

Atteso che gli artt. 609-bis e seguenti del codice penale italiano puniscono non solo lo stupro – inteso come congiunzione carnale non consensuale – ma più in generale qualsiasi costrizione a compiere o subire atti sessuali, col tempo si è reso necessario comprendere che cosa rientrasse o meno nel concetto di “Atti sessuali”

La ratio della normativa induce a delineare una nozione “oggettiva” di atti sessuali, facendovi rientrare tutti quegli atti che siano oggettivamente idonei ad attentare alla libertà sessuale del soggetto passivo con invasione della sua sfera sessuale.

La giurisprudenza della Cassazione, in particolare, ha interpretato questo concetto in modo via via più estensivo, tenuto conto che la valutazione del giudice sulla sussistenza dell’elemento oggettivo non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite, ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato. E’ stato osservato, inoltre, che possono costituire un’indebita intrusione fisica nella sfera sessuale non solo i toccamenti delle zone genitali, ma anche quelli delle zone ritenute “erogene”.

Per fare qualche esempio, costituisce “atto sessuale”:

  • il bacio sulla bocca, anche se limitato al semplice contatto delle labbra [Cass. Sez. III n. 47488/2018];
  • l’induzione della persona offesa a compiere atti di automasturbazione, integranti una condotta suscettibile di eccitare l’autore del reato [Cass. Sez. III 22.12.2010];
  • qualsiasi gesto che coinvolga pur fugacemente la corporeità sessuale della vittima, come palpeggiamenti, toccamenti, sfregamenti in parti intime [Cass. Sez. III n. 45950/2011].

Nella nozione di atti sessuali rientrano dunque tutti quegli atti idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale.

Violenza, minaccia e mancato consenso all’atto sessuale – casistica 

Il reato di violenza sessuale consiste necessariamente nel compimento di atti sessuali in contrasto con la volontà del soggetto passivo.

Nel caso in cui manchi il dissenso viene meno la tipicità del fatto, con una fondamentale specificazione: il consenso deve persistere per l’intera durata dell’atto sessuale. Se inizialmente viene prestato ma in seguito viene meno, la condotta di colui il quale persiste nella costrizione dell’altro al rapporto sessuale integra il reato di violenza sessuale [Cass. Sez. III n. 18494/2017]

La costrizione all’atto sessuale, descritta dall’art. 609bis comma 1 del Codice penale, si compie tramite violenza, minaccia o abuso di autorità: per violenza deve intendersi l’esercizio di forza fisica per contrastare la resistenza della vittima; per minaccia l’espresso avvertimento che in caso di opposizione alla violenza verrà arrecato un danno alla vittima o ad altre persone o cose.

L’elemento soggettivo previsto per il reato di violenza sessuale è il dolo generico: ciò che è necessario accertare è la volontà di costringere il soggetto passivo all’atto sessuale attraverso violenza o minaccia.

E’ importante precisare che l’esistenza di un vincolo coniugale tra persona offesa ed autore del reato non esclude in modo alcuno la punibilità del reo: anzi, l’esistenza di un legame sentimentale, interrotto o presente, tra autore del reato e persona offesa giustifica un aumento di pena, integrando una circostanza aggravante.

E’ irrilevante che tra marito e moglie vi sia stata un’abitualità di rapporti intimi nel corso della relazione matrimoniale, poiché ciascuno di essi deve essere caratterizzato da una convergenza di volontà e non può mai tradursi nell’imposizione di una persona sull’altra [Cass. Sez. III n. 3231/2014]. Parimenti, se il coniuge rifiuta il rapporto sessuale, l’altro non può costringerlo appellandosi ai doveri coniugali [c.d. debito coniugale]: l’atto sessuale compiuto senza il consenso dell’altro costituisce sempre violenza. Al più, il rifiuto all’atto sessuale palesato in via continuativa dal partner potrebbe rilevare in una causa civile di separazione.

L’abuso di autorità

La locuzione “mediante abuso di autorità“, prevista dall’art. 609 bis c.p. deve essere interpretata in senso ampio tale da ricomprendere, nella sua accezione, anche ogni relazione tra soggetti in cui l’agente eserciti una posizione di supremazia nei confronti della persona offesa.

È questo il principio sancito dalla sentenza della Cassazione, n. 49990 del primo dicembre 2014, che ribalta quanto precedentemente statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, tese a dare al concetto di “abuso di autorità” una interpretazione decisamente più restrittiva.

Viene superato quindi il precedente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l’espressione “abuso di autorità” non includerebbe, ad esempio, la violenza sessuale commessa abusando della potestà genitoriale o di altra potestà privata.

L’ABUSO DELLE CONDIZIONI DI INFERIORITA’ FISICA O PSICHICA DELLA PERSONA OFFESA 

In tema di violenza sessuale, la condizione di inferiorità psichica richiesta dall’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., si verifica quando il soggetto si trovi in uno stato individuale, congenito o sopravvenuto, permanente o transitorio, di incapacità totale o parziale di esprimere un valido consenso alla prestazione sessuale.

La Cass. Penale Sez. III, con sentenza 11 gennaio – 4 ottobre 2017, n. 45589 integra il reato di violenza sessuale di gruppo, con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di bevande alcoliche.

A prescindere di chi abbia cagionato detta condizione rileva, ai fini della configurazione del reato, solo la condizione di inferiorità psichica o fisica della persona offesa.

L’art. 609 bis ultimo comma del codice penale: i casi di minore gravità

L’ultimo comma dell’art. 609 bis del Codice Penale disciplina i casi di minore gravità.

Per giudicare la “minore gravità del fatto”, bisogna aver riguardo non alla “quantità” di violenza fisica impiegata o alla tipologia dell’aggressione sessuale, ma piuttosto alla “qualità” dell’atto compiuto, che deve desumersi dall’intero contesto del fatto e delle condizioni personali della vittima (cfr. Cass., Sez. III, 24 marzo 2000). Oltre alla qualità, devono essere presi in considerazione anche ulteriori elementi quali:

  • le condizioni fisiche e mentali della stessa;
  • il grado di coartazione della volontà della vittima;
  • le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età della vittima;
  • il danno arrecato alla persona offesa.

La Corte di Cassazione ha precisato che il Giudice non può definire il reato di “minore gravità” per il solo fatto che la condotta si sia tradotta in toccamenti o palpeggiamenti superficiali, dovendo egli compiere una valutazione globale del fatto verificatosi.

Violenza sessuale consumata o tentata?

La Corte di Cassazione ha precisato i confini incerti tra tentativo e consumazione nel reato di violenza sessuale, stabilendo che sussiste la forma tentata del delitto di violenza sessuale non solo nei casi in cui non vi sia stato alcun contatto corporeo, ma anche quando il contatto si sia effettivamente verificato, e abbia interessato solo parti non erogene per tempestiva reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente.

Per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa “essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica”. Il contatto, anche fugace, delle parti intime determina dunque la consumazione del reato di violenza sessuale.

L’immobilizzare la vittima, costretta ad un bacio non desiderato che non si consuma a causa dell’intervento di terze persone, costituisce solo violenza sessuale tentata: è quanto emerge dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 22 settembre 2017, n. 43802.

Il reato di violenza sessuale si consuma nel momento e nel luogo in cui è compiuto l’atto sessuale. E’ fondamentale comprendere se il reato di violenza sessuale si è consumato oppure se la condotta rientra nella fattispecie del tentativo: in quest’ultimo caso, la pena prevista dall’art. 609bis c.p. è notevolmente ridotta.

 

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