Avvocato Brescia | La libertà di scegliere “come e quando morire”: il caso DJ FABO
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La libertà di scegliere “come e quando morire”: il caso DJ FABO

Numerosi casi di cronaca hanno focalizzato l’attenzione pubblica sulla libertà di scegliere “come e quando morire”, fino al più recente caso di DJ FABO – Marco Cappato, su cui si è pronunciata persino la Corte Costituzionale, interpellata sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.

L’art. 580 c.p., rubricato “Istigazione o aiuto al suicidio”, sanziona con la pena della reclusione da 5 a 12 anni [se il suicidio effettivamente poi si verifica] chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. La norma, pertanto, pone sullo stesso piano l’aiuto e l’istigazione, prevedendo la medesima cornice edittale per le diverse condotte.

Procedendo con ordine, si ricostruisce in breve il caso di cronaca.

Nei due anni e otto mesi intercorsi dall’incidente automobilistico – che lo aveva reso cieco e tetraplegico –Dj Fabo espresse più volte l’ intenzione di interrompere i trattamenti terapeutici e porre fine alla propria esistenza. In piena coerenza, il 27 febbraio del 2017 DJ Fabo, sostenuto ed accompagnato dall’attivista Marco Cappato, raggiungeva i propri intenti mediante il suicidio assistito nella clinica “Dignitas”, sita in Svizzera.

Il giorno immediatamente successivo, Marco Cappato, convinto della morale correttezza delle proprie azioni a discapito dell’attuale formulazione dell’art. 580 c.p. sopra citato, decideva di autodenunciarsi ai Carabinieri di Milano.

Nel Gennaio 2018 veniva respinta dal GIP Luigi Gargiulo la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Milano: il Giudice delle Indagini preliminari, in particolare, rilevava come Marco Cappato avesse spinto Fabiano Antoniani (40 anni) ad avvalersi del suicidio assistito, “rafforzando” il suo proposito. Filomena Gallo, legale di Cappato, ha sostenuto in difesa che la normativa, risalente alla legislazione fascista, trae fondamento da due concetti: la sacralità della vita, bene non disponibile; la pericolosità di chi istiga o aiuta qualcuno nel suicidio. A parere dell’Avv. Gallo e dei suoi colleghi tale criminalizzazione non risulta “coerente con l’impianto valoriale che innesta il nostro ordinamento costituzionale”.

Riportando alcuni punti cruciali della difesa di Cappato, l’art. 580 c.p. nello specifico violerebbe principi fondamentali contenuti nella Costituzione: l’art. 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”); l’art. 3 (“E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (…), che, limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”); l’articolo 32 (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”).

Sia la Comunità Europea che i tribunali italiani e la Cedu(Corte europea dei diritti dell’uomo) hanno registrato numerosi documenti favorevoli al diritto alla autodeterminazione nelle scelte di fine vita. Inoltre, la normativa sul testamento biologico ha sensibilmente innovato sul tema, prevedendo fra l’altro che “in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore”.

In conclusione, l’avv. Gallo sosteneva fosse impunibile “chi si attivi con finalità di tipo solidaristico ed umanitario per agevolare il proposito suicidario della persona che versi in uno stato di malattia irreversibile che procuri gravi sofferenze”.

Prendendo atto delle eccezioni sollevate dalla difesa dell’imputato, in data 14 febbraio 2018, la Corte d’Assise di Milano chiedeva la pronuncia della Corte costituzionale sulla legittimità costituzionale con riferimento all’art. 580 c.p.,che dispone pene fino a 12 anni per l’istigazione o l’aiuto al suicidio, egualmente considerati.

Secondo i giudici, Marco Cappato non ha rafforzato il proposito giudiziario e, per tali ragioni, è potenzialmente illegittima la norma che punisce l’agevolazione al suicidio senza influenza sulla volontà dell’altra persona, al pari dell’istigazione vera e propria. A sostegno della tesi due profili di incostituzionalità: l’equiparazione tra aiuto e istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) e la conseguente sproporzione della condanna per il primo caso (dai 5 ai 12 anni, esattamente come l’istigazione). Si consideri inoltre la potenziale violazione di un altro diritto fondamentale, quello alla dignità dell’esistenza umana, nonché degli altri diritti costituzionalmente garantiti e protetti menzionati dalla difesa di Cappato.

La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul punto, nel corso dell’udienza che ha avuto luogo il 23 ottobre 2018, ha deciso momentaneamente di non pronunciarsi e di rimandare la parola al Parlamento: l’assetto normativo attualmente vigente, infatti, non prenderebbe in debito esame “situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”, tali da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per permettere alla Camera di intervenire in maniera opportuna, la Corte ha rinviato la trattazione all’udienza del 24 settembre 2019. Fintanto, resta sospeso il processo a quo.

La Corte ha precisato come l’aiuto al suicidio non sia, di per sé, contrario alla Costituzione. Il legislatore penale vuole, nella sostanza, creare una “cintura protettiva” attorno al diretto interessato. Persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine potrebbero essere facilmente indotte al suicidio qualora l’ordinamento consentisse a chiunque di cooperare in qualsiasi modo, magari per proprio tornaconto. È, anzi, compito della Repubblica attuare politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in simili situazioni di fragilità, rimovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.).

D’altro canto, tuttavia, la Consulta è consapevole di come non si possa non tener conto di specifiche situazioni, inimmaginabili all’epoca in cui la norma venne introdotta nonché degli sviluppi della scienza medica e della tecnologia. Il riferimento è, in particolare, all’ ipotesi ove il soggetto agevolato si identifichi in una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche ovvero psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma rimanga capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Si tratta, infatti, di ipotesi nelle quali l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare. Come è stato per Dj Fabo.