Avvocato Brescia | Pensavo fosse amore e invece…
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Pensavo fosse amore e invece…

Con la sentenza n. 25165 del 6 giugno 2019, la Corte di Cassazione si è espressa su un caso particolare, la c.d. “truffa romantica”, osservando che fingere di amare una persona ed indurla a credere in un progetto di vita comune per ottenere un vantaggio patrimoniale costituisce reato.

 

Il reato di truffa: che cos’è e gli elementi fondanti

Per definirsi truffa – di cui all’art. 640 c.p. – devono ravvisarsi vari elementi, correlati tra loro:

  • Artifizio o raggiro
  • Induzione in errore della persona offesa
  • Ingiusto danno patrimoniale per la persona offesa
  • Ingiusto vantaggio patrimoniale per l’autore del reato

 

L’artifizio consiste nella simulazione o dissimulazione della realtà per portare una persona a credere in false circostanze, mentre il raggiro viene attuato esclusivamente attraverso parole o argomentazioni che fanno percepire il falso come vero. Entrambi gli strumenti creano un’errata convinzione, il primo camuffando la realtà, il secondo agendo direttamente sulla psiche della vittima. Questi espedienti, se verificati, devono aver spinto la parte lesa a prendere una certa decisione patrimoniale, anche qualora sembri facile constatare la finalità truffaldina. Secondo principio comune, per definire il rapporto causa-effetto non occorre valutare l’idoneità di per sé dei mezzi adoperati, quanto piuttosto se in concreto si sono rivelati efficaci a trarre in inganno.

 

Il caso oggetto di studio

Il Tribunale di Bergamo ha condannato nel 2015 l’imputato Tizio per aver, con artifizi e raggiri, finto interesse amoroso nei confronti di una donna più grande e abbiente, persuadendola ad acquistare degli appartamenti (di cui uno in una nota località di villeggiatura) e proponendole la cointestazione di quote societarie, facendosi quindi consegnare ingente denaro. Alla vittima ha trasmesso fotografie e informazioni false, procurandosi un ingiusto profitto: il denaro non è mai stato successivamente investito né nell’acquisto di quote societarie né tanto meno degli immobili.

Nel 2016 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la pena di due anni e sei mesi di reclusione, nonché di 1.500 euro di multa in ordine al delitto di truffa c.d. romantica, oltre al risarcimento danni già disposto in primo grado in favore della parte civile. Successivamente, l’autore del reato si è rivolto al terzo ed ultimo grado di giudizio, avanzando Ricorso per Cassazione.

 

La difesa dell’imputato in Cassazione

Contro la condanna in primo grado confermata in appello, l’imputato ha lamentato un’errata interpretazione della legge penale (art. 606 c.p.p. lett. b): nel caso di specie, dal canto sua, mancava l’attività “ingannatoria” tipica del reato di truffa. L’imputato, infatti, dichiarava di essersi limitato a ricevere del denaro dalla donna elargito VOLONTARIAMENTE e non per l’effetto dei sentimenti simulati nei suoi confronti. Al fine di avvalorare la propria argomentazione, il ricorrente ha richiamato una pronuncia del Tribunale di Milano del 14/7/2015, secondo cui la truffa c.d. romantica non è punibile, non costituendo di per sé natura di artifizio o raggiro la simulazione di un sentimento d’amore.

 

La Cassazione dà ragione alla Corte d’appello

Mediante sentenza n. 25165 del 6 giugno 2019, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione conferma quanto statuito dalla Corte d’appello.

Nella fattispecie, l’imputato non solo ha simulato sentimenti d’amore, ma anche lasciato credere la donna in un progetto di vita in comune, inducendola, di conseguenza, a disporre del proprio patrimonio con scelte a suo discapito. Diversamente da quanto sostiene l’imputato, non acquisiscono di per sé rilevanza penale i finti sentimenti provati rispetto a quelli del soggetto passivo, ma in quanto hanno fatto da traino sul lasciar percepire veritiero il falso, agendo sulla psicologia della vittima. Traendo vantaggio dalla situazione di debolezza che caratterizza quest’ultima (coinvolta in un sentimento vero), si determina la scelta patrimoniale.

Non si configura neanche la manifesta infondatezza, come invece dichiarato dal ricorrente, perché gli elementi di prova non possono essere estrapolati dal contesto, ma valutati nel merito. Il giudice accerta cioè le vicende per come realmente sono nel caso specifico, eseguendo una puntuale e concreta ricostruzione degli avvenimenti. Non viene discussa tanto meno la legittimità, a meno che non siano viziate le motivazioni sulla loro capacità dimostrativa. Nel caso di specie, il Giudice di primo grado, il Giudice di secondo grado nonché la Suprema Corte hanno ritenuto sussistenti tutti gli elementi del reato di truffa, in quanto la falsa rappresentazione del sentimento d’amore dell’imputato è stata di idonea ad indurre la vittima in errore, determinandola ad effettuare un’operazione economica che, diversamente, non avrebbe sostenuto.