Avvocato Brescia | Stalking, diffamazione e sostituzione di persona commessi tramite i social network
Si commette reato di stalking anche quando le molestie sono effettuate sostituendosi alla vittima tramite profili social e account internet alla stessa riconducibili.
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Stalking, diffamazione e sostituzione di persona commessi tramite i social network

Stalking, diffamazione e sostituzione di persona commessi tramite i social network

In tema di stalking, il delitto di atti persecutori è configurabile anche nel caso in cui le reiterate molestie siano effettuate sostituendosi alla vittima tramite profili social e account internet alla stessa riconducibili.

Così si è espressa la sentenza Cass. n. 323 del 10/01/2022, che andiamo ora a riepilogare nei suoi tratti più significativi.

Il caso e le condotte contestate

Il caso su cui si sono espressi i giudici della Suprema Corte trae origine dalla vicenda che ha coinvolto l’imputato, amico della vittima fin dalla giovane età, condannato alla sanzione della reclusione per dieci mesi per averle provocato uno stato di ansia e timore, e averla costretta a cambiare le proprie abitudini di vita e le amicizie, mediante creazione di falsi profili Facebook e account Internet aperti a nome di lei, con conseguente sostituzione della sua persona.

Attraverso tali profili e account, infatti, l’imputato si proponeva sessualmente in sua vece, diffamandone l’onorabilità e facendo sì che la donna venisse contattata da sconosciuti, che pretendevano comportamenti come quelli apparentemente creati dall’imputato.

I motivi di censura

Degli articolati motivi di censura sviluppati dall’imputato nel ricorso per cassazione i più interessanti ai nostri fini di commento sono certamente il terzo e il quarto.

In particolare, il terzo motivo di censura attinge l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di atti persecutori e la carenza di prova in ordine all’elemento psicologico del delitto, con evanescenza di quello oggettivo.

L’imputato sostiene infatti di non aver mai direttamente perseguitato la vittima con molestie, minacce o altro. Piuttosto, ha agito ingannando gli ignari interlocutori, i quali avrebbero poi incontrato la ragazza rivelando il proprio agire illecito. Per l’imputato mancherebbero altresì i presupposti essenziali per la configurabilità del contesto reato di stalking.

Con il quarto motivo di censura, invece, si eccepisce l’insussistenza dei reati di diffamazione e di sostituzione di persona, oltre che il vizio di motivazione a riguardo.

Per quanto riguarda la diffamazione, nell’istruttoria dei giudizi di merito – a dire dell’imputato – non sarebbe stato accertato quali fosse il contenuto dei colloqui intercorsi tra lo stesso ed i suoi interlocutori. Non è dunque possibile apprezzarne la portata o il tenore diffamatorio. In ogni caso, i tentativi di ricostruire tali contenuti non possono che essere basati sulle dichiarazioni della persona offesa e, dunque, inutilizzabili.

Per la difesa dell’imputato, comunicando mediante la falsa identità della vittima solo con una persona per volta non si sarebbe potuto integrare uno dei presupposti costitutivi del delitto ex art. 595 c.p. (cioè, la comunicazione con più soggetti). Infine, la configurabilità del reato di sostituzione di persona non sarebbe plausibile, alla luce del consenso prestato dalla vittima all’utilizzazione, iniziale e prolungata, della propria identità virtuale, anche se per gioco.

Gli elementi costitutivi del reato di atti persecutori

Soffermiamoci ora sulle valutazioni dei giudici della Suprema Corte sui due soli motivi sopra accennati.

Per quanto concerne la terza censura, la Corte di Cassazione ne esprime i caratteri di manifestata infondatezza.

Di fatti, per quanto riguarda l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di atti persecutori, considerato che le condotte si risolverebbero in molestie solamente indirette e attuate attraverso comportamenti che non vedono la vittima come l’oggetto dell’agire dell’imputato (che è invece rivolto a terzi e solo mediamente percepito come persecutorio dalla persona offesa), l’imputato sembra incorrere in un errore interpretativo nella sua difesa.

La Corte evidenzia di fatti come già con la recente sentenza Cass. n. 8050 del 12/1/2021 si fosse chiarito come in tema di atti persecutori l’evento consistente nell’alterazione dei cambiamenti di vita della vittima o del suo grave stato di ansia o di paura indotto, deve essere il risultato di comportamenti illeciti valutati nel loro complesso, nell’ambito del quale possono assumere rilievo anche i comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa, e anche di tipo subdolo, come in questa fattispecie.

Pertanto, come ulteriormente precisato dalla sentenza Cass. n. 1629 del 6/10/2015, per configurare il delitto di stalking non rileva né la presenza della persona offesa alle minacce o alle molestie, né la direzione immediata della condotta persecutoria nei suoi riguardi, ove vi sia consapevolezza, da parte dell’agente, del fatto che delle minacce e/o delle molestie la vittima venga informata.

Configurazione dei reati di diffamazione e sostituzione di persona

Anche il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

In relazione alla configurabilità del reato di sostituzione di persona, si osserva come il consenso della persona offesa fosse privo di pregio perché – dalla ricostruzione dell’accaduto – emergerebbe pacificamente come la vittima da tempo avesse “revocato” il consenso inizialmente prestato per un gioco in rete e come fossero completamente diverse le condizioni operative che erano state concordate quando lei era appena una ragazzina: la proposizione di scherzi ad amici comuni, attraverso Internet, usando i riferimenti personali della persona offesa ma riferendosi a contenuti non espliciti sessualmente, che sono divenuti poi quelli realizzati dall’imputato con l’andare nel tempo, rivolti peraltro anche a sconosciuti.

La Corte rammenta poi come sul tema la giurisprudenza di legittimità più volte sia intervenuta per affermare che il reato di sostituzione di persona è configurabile anche nel comportamento di colui che crei ed utilizzi account o profili di social network, o SIM card a nome di altro soggetto, inconsapevole, servendosi dei suoi dati personali, con il fine di far ricadere su quest’ultimo il suo agire (tra le varie, Cass. n. 25215 del 13/7/2020, n. 25774 del 23/4/2014, n. 22049 del 6/7/2020, n. 12479 del 15/12/2011).

Ancora, a giudizio del Collegio, tale reato si configurerebbe anche nell’ipotesi in cui la persona sostituita sia venuta a conoscenza della sostituzione e ad essa si sia dichiarata contraria esplicitamente diffidando – come avvenuto – l’imputato dal continuare nella sua condotta.

Passando poi al reato di diffamazione, esso sussiste anche quando la propalazione offensiva dell’altrui onore e decoro intervenga non contemporaneamente nei confronti di più persone, ma in tempi diversi.

Il quadro normativo, per la configurabilità del delitto di diffamazione, non richiede infatti che la propalazione delle frasi offensive venga posta in essere simultaneamente. È dunque possibile configurare il reato anche se la propalazione avviene in tempi diversi, sempre che risulti comunque rivolta a più soggetti (così Cass. n. 7408 del 4/11/2010).

Nel caso in esame, le frasi offensive sono state dirette verso una pluralità di destinatari, contattati con i falsi profili ed account della vittima. Non rileva dunque a questi fini che ciascuno dei destinatari sia stato chiamato singolarmente e in tempi diversi, accertato che ciò che integra il reato è la circostanza che le molteplici chiamate e contatti via internet fossero diretti verso una pluralità di destinatari e ad essi siano pervenute.

La Corte di Cassazione, pertanto, ha confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’imputato.