Avvocato Brescia | Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi
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Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi

Il reato di maltrattamenti in famiglia è previsto e punito dall’articolo 572 del codice penale, con il fine di tutelare la salute e l’integrità psico-fisica di soggetti che appartengono a un contesto familiare o para-familiare.

Alla luce dell’evoluzione normativa, il reato di maltrattamenti in famiglia si configura ogni qual volta un soggetto maltratta una persona appartenente al suo nucleo familiare o, comunque, con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità, o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte.

 

Premessa: l’evoluzione normativa dell’Art. 572 C.P

L’articolo 572 Codice Penale sancisce che chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore di 14 anni, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva il decesso, la reclusione da dodici a venti anni.

Il reato di maltrattamenti in famiglia scatta non soltanto a seguito di percosse, minacce, ingiurie, ma anche con atti di scherno, disprezzo, umiliazione e di asservimento idonei a cagionare durevoli sofferenze fisiche, anche solo morali.

Affinché si possa procedere per maltrattamenti in famiglia, non basta un singolo episodio violento e neppure una serie di litigi tra marito e moglie, degenerati di tanto in tanto in violenze fisiche, ma è necessario il configurarsi di un quadro di sopraffazione sistematica e continua.

Rispetto alla precedente formulazione, la Legge n. 172/2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote ha introdotto le seguenti modifiche:

  • ha inasprito le pene;
  • ha esteso l’ambito di applicazione della fattispecie anche all’ipotesi di convivenza, che viene indicata altresì in rubrica (“Maltrattamenti contro familiari e conviventi”);
  • ha introdotto, al 2° comma, un’aggravante del reato se il fatto è commesso nei confronti di minore infraquattordicenne (comma abrogato dal successivo d.l. n. 93/2013 convertito nella l. n. 119/2013).

In seguito, La legge del 2013 (Dl n. 93/2013 convertito con L. 119/2013) ha stabilito l’obbligo per i presidi sanitari, le forze dell’ordine e le istituzioni pubbliche di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio.

Da ultimo, il 9 agosto scorso è entrata in vigore la legge 19 luglio 2019, n. 69 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere“, nota come Codice Rosso, normativa oggetto di approfondimento nei prossimi articoli, la quale ha ulteriormente riformato alcuni profili dell’art. 572 c.p.

 

Il bene giuridico tutelato

Secondo la dottrina prevalente, il bene giuridico tutelato dal reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi non è tanto il nucleo familiare in sé, da considerarsi come un’entità a sé stante, titolare di interessi propri distinti da quelli dei suoi componenti, ma quanto l’integrità psico-fisica di coloro che, per età o per rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nelle condizioni di subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggior tutela, condotte di prevaricazione fisica o morale che la minino.

 

La condotta del reato di maltrattamenti – casistica

Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, di cui all’art. 572 Codice Penale, è un reato necessariamente abituale, nel senso che è richiesta la reiterazione di fatti che acquisiscono rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo.

Trattasi di fatti singolarmente lesivi dell’integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre singolarmente considerati configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare una condotta di sopraffazione sistematica e programmata, tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa.

Non è necessario che si tratti di una cospicua serie di atti: bastano anche due o tre episodi verificatisi nel tempo, i quali devono comunque essere connessi dall’intento consapevole di annientare l’integrità psico fisica del maltrattato, nella dinamica di un rapporto sperequato ove l’uno primeggia sull’altro. Per questo, non può configurarsi il reato, ad esempio, in un contesto familiare di continua conflittualità, ove alla veemenza verbale ed alla collera del marito la moglie risponde con capacità reattiva e non con un atteggiamento passivo [Cass. Sez. VI 13.11.2015-09.02.2016 n. 5258].

Il termine “maltrattare” è così ampio ed indeterminato di per sé da originare una casistica vastissima, il cui prudente apprezzamento è come sempre assegnato ai Giudici, i quali, per esempio, hanno ritenuto sussistere il reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi anche nella privazione pressoché totale del sostegno economico ai danni della persona offesa, a maggior ragione se unita ad ulteriori condotte di vario genere [Cass. Sez. III 19.01.2016 n. 18937].

Il reato in discorso, inoltre, può essere commesso anche al di fuori del contesto squisitamente familiare, in tutti quei casi in cui esista tra autore del reato e persona offesa un rapporto stabile di affidamento e solidarietà. Si pensi, ad esempio, ai maltrattamenti a danno dei pazienti di una casa di cura e ricovero per anziani oppure, ancora, alla condotta violenta, vessatoria, umiliante e denigrante agita in modo reiterato dagli agenti di polizia penitenziaria nei confronti di detenuti in ambiente carcerario e, per ciò, sottoposti alla loro autorità.

 

L’elemento soggettivo – alcuni casi

Nel reato di maltrattamenti, non è necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalità, essendo sufficiente il dolo generico cioè la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale.

L’elemento unificatore dei singoli episodi è costituito da un dolo unitario e programmatico, che fonde le diverse azioni: esso consiste nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che si va via via realizzando e confermando. È perciò costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità.

Sul tema è fondamentale precisare come:

  • lo stato di ubriachezza non esclude il dolo degli atti di maltrattamenti compiuti in tale condizione psico-fisica, ma anzi è valutabile come circostanza aggravante;
  • non ha alcun rilievo la circostanza che l’autore del reato – nella specie il marito – abbia agito sulla base della convinzione della superiorità della figura maschile all’interno della famiglia e della conseguente legittimità di atteggiamenti “padronali” nei confronti della moglie [Cass. Sez. VI 26.04.2011].

 

Circostanze aggravanti

La pena è aumentata se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore oppure in danno di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità ovvero con armi.

 

Concorso con altri reati

È possibile che la condotta del maltrattante sia riconducibile anche ad altri reati, i quali possono essere contestati al medesimo nello stesso procedimento penale [c.d. concorso di reati].

Possono concorrere con il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi:

  • il reato di violenza sessuale;
  • il reato di violenza privata quando la violenza fisica o psichica sia utilizzata oltre che per maltrattare la vittima anche per costringerla a fare o ad omettere qualcosa;
  • il sequestro di persona quando la limitazione della libertà personale della vittima non trova alcuna giustificazione nell’ambito di un rapporto di affidamento, di cura, di tutela, ma si rapporta in termini di un’ulteriore sopraffazione della vittima;
  • il reato di estorsione quando le violenze o le minacce siano state realizzate, oltre che per maltrattare, anche per ottenere un ingiusto profitto di natura patrimoniale;
  • i reati di abbandono di persone minori o di incapaci e di sottrazione di minori all’estero.

Regime di procedibilità e profili processuali

Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi è perseguibile d’ufficio: ciò significa che la Procura della Repubblica procede nei confronti del responsabile di quel reato a prescindere dalla volontà della persona offesa (vittima), anche se quest’ultima non sporge querela o se addirittura non vuole che il colpevole sia processato.

Quindi, se la persona offesa sporge querela e poi nei mesi successivi decide di cambiare idea, il processo prosegue comunque. Eventualmente, la ritrattazione della persona offesa potrebbe rilevare ai fini dell’esclusione della penale responsabilità dell’autore del reato oppure ai fini della concessione di eventuali circostanze attenuanti.

Interessante è la lettura dell’articolo 342 bis Codice civile, secondo il quale il giudice ordina al convivente reo della condotta pregiudizievole, la cessazione della condotta e ne dispone l’allontanamento dalla casa coniugale.

Inoltre, il Giudice può:

  • prescrivere all’autore della condotta di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima,
  • disporre il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dell’allontanamento dalla casa familiare del reo, rimangono prive di mezzi adeguati,
  • chiedere l’intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o di associazioni per il sostegno e l’accoglienza di donne, minori o di vittime di abusi e maltrattamenti.

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