Avvocato Brescia | La convenzione di Istanbul
1046
post-template-default,single,single-post,postid-1046,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-4.5,menu-animation-underline-bottom,side_area_over_content,wpb-js-composer js-comp-ver-7.1,vc_responsive

La convenzione di Istanbul

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (meglio nota come Convenzione di Istanbul) nasce 10 anni fa. È stata approvata il 7 aprile 2011 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Successivamente, l’11 maggio 2011, un primo gruppo di Stati l’ha sottoscritta ad Istanbul.

Ad oggi, è stata firmata da 45 Paesi ma risulta ratificata soltanto da 34 Paesi: in Italia è stata ratificata dalla Legge 27 giugno 2013, n. 77.

Diversi Paesi firmano la Convenzione ma non la ratificano. Perché? Perché la ratifica obbliga uno Stato ad aggiornare e adeguare il proprio ordinamento civile e penale a tutela delle vittime di violenza, per prevenire e contrastare la violenza di genere e domestica, per punire gli autori di questo genere di reati.

La Convenzione di Istanbul è entrata in vigore il 1° agosto 2014. L’Unione Europea l’ha sottoscritta nel 2017 ma alcuni Stati membri non l’hanno ancora ratificata (Bulgaria, Ungheria, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca, Slovacchia). C’è da dire, oltretutto, che l’UE l’ha ratificata solo per 2 mandati (questioni criminali e asilo).

Questa Carta, per la prima volta, ha espressamente e ufficialmente dichiarato che la violenza di genere è ‘strutturale’. Ha “radici storiche fondate sull’ineguaglianza tra uomini e donne“.

La Convenzione ha definito i ruoli di genere “socialmente costruiti“.

Nel 2021, anziché conformarsi alla Convenzione in nome dei diritti fondamentali umani, questo trattato internazionale si è trasformato in un simbolo delle guerre culturali in Europa.

I movimenti fondamentalisti islamici e cattolici remano contro l’autodeterminazione delle donne: lo dimostra il ritiro prima della Polonia, poi della Turchia. Tentano di demolire la Convenzione e, anche in Italia, c’è chi fa pressioni per ‘ritoccare’ il provvedimento.

Convenzione di Istanbul: l’attuale situazione in Europa

Attualmente, il processo di ratifica della Convenzione è oggetto di forte scontro tra le istituzioni europee: il Consiglio dei ministri UE si oppone, una parte della Commissione e del Parlamento si schiera a favore. Tanto che, di recente, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato che, prima di fine anno, verrà presentato un piano alternativo, una legislazione per prevenire e combattere la violenza contro donne e bambini includendo nella lista dei reati anche tutte le forme di crimini dell’odio.

Se passasse, diventerebbe una legge europea, vincolante per tutti gli Stati membri dell’UE.

Scopriamo perché è stata redatta la Convenzione di Istanbul, quali sono gli obiettivi e le cause della stesura, le principali disposizioni di questo trattato internazionale.

Convenzione di Istanbul: definizione di violenza di genere e violenza domestica

La Convenzione di Istanbul rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che determina un quadro giuridico completo allo scopo di proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza.

Il testo definisce la violenza di genere una violazione dei diritti umani” e una forma di discriminazione” e chiarisce l’espressione “violenza domestica“. Quest’ultima si riferisce ad atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica compiuti all’interno della famiglia o nucleo familiare tra coniugi e partner attuali o precedenti, indipendentemente dal fatto che l’autore delle violenze condivida o meno la stessa residenza con la vittima.

Il testo della Convenzione include una serie di delitti legati alle varie forme di violenza di genere tra cui:

– violenza fisica e sessuale

– violenza psicologica;

– atti persecutori (stalking);

– matrimonio forzato;

– molestie sessuali;

– mutilazioni genitali femminili e sterilizzazione forzati.

I Paesi che aderiscono alla Convenzione devono impegnarsi per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli. Devono includere questi reati nei propri codici penali o in altre disposizioni legislative. In sostanza, una volta ratificata la Convenzione, ogni Stato è giuridicamente vincolato. È un trattato internazionale con rilevanza giuridica immediata.

Gli Stati aderenti sono invitati ad inserire nelle loro Costituzioni o in altra disposizione legislativa il principio della “parità tra i sessi” garantendo l’applicazione di tale principio, vietando la discriminazione di genere e, se necessario, applicando sanzioni.

Gli obiettivi della Convenzione

Riportiamo, di seguito, gli obiettivi della Convenzione di Istanbul, contenuti nel Capitolo I:

– Prevenire, perseguire ed eliminare la violenza sulle donne e la violenza domestica, proteggerle da ogni forma di violenza;

– Contribuire ad eliminare qualsiasi forma di discriminazione di genere promuovendo concretamente la parità tra i sessi, potenziare l’indipendenza e l’autodeterminazione delle donne;

– Pianificare politiche e misure di protezione e di assistenza a favore delle vittime di violenza;

– Favorire la cooperazione internazionale per eliminare la violenza sulle donne e quella domestica;

– Dare sostegno ed assistere le autorità e le organizzazioni che hanno il compito di applicare la legge allo scopo di adottare un approccio integrato per eliminare la violenza contro le donne.

La Convenzione di Istanbul invita gli Stati a stanziare risorse finanziarie ed umane per attuare politiche di prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza sulle donne attraverso strutture come centri antiviolenza e case rifugio per donne e bambini in uscita dalla violenza. Il richiamo alle risorse rientra nel campo di applicazione della Convenzione, che oltretutto considera la possibilità di concedere lo status di rifugiato e di richiesta di protezione internazionale alle donne straniere vittime di violenza.

Convenzione di Istanbul: principali disposizioni

La Convenzione di Istanbul si compone di 81 articoli.

Analizziamo le principali disposizioni della Convenzione, i punti chiave più significativi.

Abbiamo già citato la definizione di violenza di genere.

Tra i vari punti della Convenzione, si affronta il delicato tema della violenza assistita a cui dedichiamo il successivo paragrafo.

Un altro capitolo della Convenzione è dedicato al monitoraggio e alla ricerca sul fenomeno della violenza di genere. Gli Stati aderenti si impegnano a raccogliere i dati statistici sul fenomeno della violenza per studiare causa/effetti, l’efficacia delle misure di contrasto adottate.

Dal monitoraggio si passa al controllo vero e proprio con la costituzione del GREVIO (composto da un gruppo di esperti) incaricato di vigilare sull’attuazione della Convenzione da parte degli Stati.

I Paesi aderenti alla Convenzione devono adottare le necessarie misure anche per implementare campagne di sensibilizzazione e promuovere cambiamenti culturali per eliminare pregiudizi e stereotipi (inclusa l’educazione nelle scuole, la formazione di figure professionali, il coinvolgimento del settore privato e dei mass media). Oltre all’informazione e alla formazione, si raccomandano i servizi di supporto: necessità di apertura di un tot di Centri antiviolenza per un determinato numero di abitanti e di case rifugio, linee telefoniche dedicate, supporto legale e psicologico a sostegno delle vittime, gratuito patrocinio.

Nel Capitolo dedicato ai risarcimenti viene disposto che “le parti devono adottare misure legislative efficaci per garantire alle vittime il diritto di richiedere un risarcimento agli autori di reati di genere” previsti dalla Convenzione. Viene accordato un risarcimento adeguato a chi ha subito gravi pregiudizi all’integrità fisica e la sicurezza della vittima deve essere tutelata.

In altri capitoli, si affronta la questione delle sanzioni, di misure di protezione ma anche repressive efficaci che includono anche l’estradizione ed il carcere. Si prevedono aggravanti se il reato viene commesso contro il coniuge o l’ex (partner o convivente) e se il delitto è compiuto in presenza di un bambino o su un bambino.

Violenza assistita: definizione, raccomandazioni e divieti della Convenzione

Nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul, la violenza domestica interessa qualsiasi vittima (donna, uomo, anziano, omosessuale, bambino), la violenza diretta e indiretta. Quest’ultima colpisce soggetti che assistono e sono testimoni della violenza; in gran parte, si tratta di bambini nell’ambito della violenza domestica, definiti vittime ‘silenti’, ‘involontarie’, ‘dimenticate’. La Convenzione è uno strumento utile per contrastare casi di violenza assistita e si è rivelata innovativa in questo senso, a livello internazionale.

Le raccomandazioni della Convenzione di Istanbul riguardo alla violenza assistita sono le seguenti:

– adozione di misure legislative o di altro tipo affinché, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, vengano considerati gli episodi di violenza previsti dalla Convenzione. Il diritto di visita e custodia dei figli non deve compromettere la sicurezza della vittima o dei bambini stessi;

– possibilità, se necessario, di adottare misure come la privazione della patria potestà se non si può garantire in nessun altro modo l’interesse superiore del bambino (che può includere la sicurezza della vittima);

– un bambino vittima e testimone di violenza domestica deve usufruire, se necessario, di specifiche misure di protezione.

Nel descrivere le misure di protezione e di supporto delle vittime (come le consulenze psicosociali), la Convenzione introduce il concetto fondamentale di ‘interesse superiore del minore’ nel contesto di violenza domestica, sottolineando i diritti e i bisogni dei bambini vittime di violenza assistita.

La Convenzione di Istanbul vieta la mediazione familiare nei casi di violenza (punto 1 dell’art. 48) ed il ricorso a qualsiasi altro procedimento di soluzione alternativa delle controversie, come la conciliazione. Il motivo del divieto è chiaro. Quando una donna vittima di violenza decide di separarsi, la mediazione può rivelarsi un’arma nelle mani del partner violento per mantenere il dominio e il controllo della vittima stessa e per impedire la separazione.

Il ritiro della Polonia dalla Convenzione

Nel mese di luglio 2020, la Polonia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul che aveva ratificato nel 2015.

Zbigniew Ziobro, ministro della Giustizia, ha annunciato il ritiro dalla Convenzione definendola un’invenzione femminista che intende giustificare l’ideologia omosessuale. Parallelamente, ha annunciato la volontà di stipulare un nuovo trattato internazionale sui ‘diritti della famiglia‘ con Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Slovenia e Slovacchia. Lo scorso 30 marzo, il Parlamento ha discusso il progetto di legge “Sì alla famiglia, no al gender” concepito dal partito ultra-cattolico di Ordo Iuris.

Giustificando il contrasto all’ideologia omosessuale, di fatto, il governo polacco attacca il genere femminile. Il progetto di legge “Sì alla famiglia, no al gender” prevede il divieto di aborto e identifica le cause della violenza domestica nell’indebolimento dei tradizionali valori sociali e legami familiari. La violenza viene, addirittura, giustificata da ‘patologie‘ come alcolismo e pornografia.

Il governo polacco criminalizza l’educazione sessuale, ha ridotto i motivi per cui una donna può ricorrere legalmente all’aborto. A marzo, gruppi che sostengono il diritto all’aborto hanno denunciato alla Polizia di aver subito minacce di morte e di bombe ma la Polizia non ha aperto indagini.

Quello che sta succedendo in Polonia demolisce non solo la Convenzione di Istanbul ma le regole con cui gli Stati membri dell’UE aderiscono alla Comunità Europea.

La Turchia lascia la Convenzione di Istanbul: il caso

Con un decreto governativo, il 20 marzo scorso in Turchia è stato sancito il ritiro dalla Convenzione di Istanbul. La Turchia, il primo paese che ha ratificato la Convenzione il 12 marzo 2012, si è ritirata.

Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, che circa dieci anni prima l’aveva sottoscritta, ha lasciato la Convenzione accusandola di essere strumentalizzata da alcuni gruppi per normalizzare l’omosessualità. Il pretesto omofobico del governo turco (lo stesso che ha sfruttato il governo polacco) si traduce in una vera e propria violenza istituzionale, che ha innescato repressione e arresti.

Il vero obiettivo di Erdoğan e dell’AKP (Partito turco per la giustizia e lo sviluppo) è ‘proteggere’ le famiglie tradizionali, ‘naturali’, la cultura patriarcale in contrasto da sempre con i diritti e l’autodeterminazione delle donne. Tanto che la violenza di genere non viene neanche riconosciuta: il riconoscimento e la tutela delle donne vittime di violenza da parte dello Stato le legittimerebbe a separarsi dal marito mettendo in ‘pericolo’ la famiglia tradizionale voluta dal patriarcato islamico.

Il ritiro della Turchia dalla Convenzione ha scatenato grandi proteste da parte delle donne, dei movimenti contro la violenza di genere, dei partiti di opposizione e degli ordini degli avvocati. Questi ultimi stanno intentando cause contro il Consiglio di Stato per annullare la decisione del presidente. Possono farlo perché ritirarsi da un trattato internazionale sui diritti umani fondamentali ratificato è una ‘mossa’ contraria alla Costituzione.

Non basta un disegno di legge per cancellarlo. Tanto che la Legge n. 6251 con cui è entrata in vigore la Convenzione di Istanbul, ad oggi, non è stata eliminata in Turchia.

La situazione in Italia

L’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul con la Legge 27 giugno 2013, n. 77. In seguito, ha modificato la propria legislazione con l’introduzione della Legge n. 212/2015 che prevede l’obbligo delle istituzioni di sostenere i percorsi di uscita dalla violenza, i finanziamenti ai centri antiviolenza, il rafforzamento della posizione delle vittime nel processo penale. Nel 2017, è stata istituita la Commissione di inchiesta sul femminicidio.

Ad oggi, il Piano nazionale antiviolenza risulta non in grado di rispondere in modo sistemico e integrato alla violenza di genere. Il finanziamento ai centri antiviolenza è lento e problematico. L’ultimo Rapporto GREVIO ha confermato che, nel nostro Paese, c’è ancora tanta strada da fare per rispettare la Convenzione di Istanbul.