Avvocato Brescia | Ora di religione, chi decide in caso di contrasto dei genitori?
1234
post-template-default,single,single-post,postid-1234,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-4.5,menu-animation-underline-bottom,side_area_over_content,wpb-js-composer js-comp-ver-7.1,vc_responsive
 

Ora di religione, chi decide in caso di contrasto dei genitori?

Ora di religione, chi decide in caso di contrasto dei genitori?

Se i genitori del bambino sono separati e non trovano un accordo tra loro, chi decide se fare o meno frequentare l’ora di religione al figlio?

A dirimere la questione ci ha pensato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6820/2023, che è recentemente intervenuta sulla vicenda di una bambina che è stata al centro di un contrasto tra il padre e madre: secondo il padre la piccola avrebbe dovuto seguire l’ora di religione a scuola mentre, secondo la madre, avrebbe dovuto evitare di essere sottoposta alla frequenza di questa ora scolastica.

Come è andata a finire?

La decisione della Corte d’Appello

Per ricostruire quali siano le motivazioni dei giudici in Cassazione, ricordiamo che in Corte d’Appello si era parzialmente riformata la decisione dei giudici di prime cure, che avevano riconosciuto al padre il potere di decidere la frequenza o meno dell’ora di religione da parte della figlia minore.

In Appello, invece, i giudici hanno affermato che sarebbe stata la madre a dover scegliere, senza che ciò potesse inficiare in alcun modo le scelte future della figlia, considerato il percorso già scelto dalla giovane.

Di fatti, per la Corte territoriale la figlia di appena 6 anni era evidentemente troppo giovane per esprimere la propria posizione in merito al percorso scolastico. La prima figlia della coppia, tra l’altro, seppur battezzata, non aveva ancora ricevuto un’educazione cattolica, non avendo frequentato l’ambiente parrocchiale.

Inoltre, la Corte d’Appello rilevava anche come la madre avesse ben argomentato le proprie ragioni, eccependo di voler equiparare le posizioni delle sorelle a quella della più piccola, e che l’impegno di un insegnamento religioso di grado superiore rispetto a quello finora ottenuto non fosse necessario.

Sempre per la Corte territoriale, inoltre, non spetta al giudice sostituirsi ai genitori nello stabilire se un’educazione religiosa possa garantire, come sostiene il padre sulla base delle sue convinzioni, una crescita sana ed equilibrata, potendo il giudice al più ricostruire un’eventuale scelta già compiuta dai genitori e di cui uno negasse ingiustificatamente l’esistenza.

Insomma, in secondo grado la scelta veniva affidata la madre che, come anticipato, riteneva superflua la frequentazione della lezione di religione cattolica.

Il ricorso in Cassazione

Dinanzi a questa presa di posizione il padre preferisce ricorrere in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 132 nn. 3 e 4 c.p.c., dell’art. 12 della Convenzione di New York per i diritti del fanciullo, dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25/1/1996, n. 23 Regolamento CE n. 2001/2003, nonché degli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c., oltre ai principi del contraddittorio e del giusto processo e dell’art. 132 n. 4 c.p.c., per motivazione apparente, in punto di mancato ascolto, né direttamente né tramite consulente tecnico, della minore.

Ancora, nell’articolato ricorso il padre denuncia la violazione della libertà religiosa stabilita costituzionalmente, degli artt. 3,7,8,9,10,19 e 30, 8,9,14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e ulteriormente dell’art. 337 ter c.p.c., per l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione al diritto del ricorrente, attualmente professante la religione cattolica di tramandare le proprie credenze sulla figlia minore e l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dalla posizione attuale e specifica del ricorrente e della figlia e del fatto che le lezioni religiose rendevano la minore felice.

Le decisioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto le doglianze del padre. Ma come mai?

Gli ermellini richiamano innanzitutto l’art. 316 c.c. sulla responsabilità genitoriale, per cui

Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio

Richiamano anche l’art. 337-ter sui provvedimenti riguardo ai figli, per cui

La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice”, il Giudice, in quanto soggetto terzo, deve ingerire nella vita privata della famiglia, adottando i provvedimenti relativi alla prole, quando i genitori non sono in grado di accordarsi. “La decisione non resta arbitraria ma deve essere assunta secondo un criterio stabilito dalla legge, quello dell’esclusivo riferimento al superiore interesse, morale e materiale, del minore coinvolto, nel caso concreto in esame.

Ciò premesso, con la precedente pronuncia n. 21553/2021 la stessa Corte aveva affermato che:

il contrasto insorto tra genitori legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, sulla scuola “religiosa” o “laica” presso cui iscrivere i figli, deve essere risolto in considerazione dell’esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori ad una crescita sana ed equilibrata, ed importa una valutazione di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, che può ben essere fondata sull’esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa.

Negli stessi termini, con pronuncia n. 21916/2019 la stessa Corte aveva chiarito che:

in presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall’adesione a un diverso credo, la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei genitori è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall’accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio, che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo, e tale accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore, in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto.

Insomma, la linea della Corte è stata quella di perseguire una crescita equilibrata e sana per il minore, dando continuità nella consapevolezza che un mutamento non necessario potrebbe creare qualche turbamento nel fanciullo.

In maniera più specifica, in relazione all’educazione religiosa dei figli, deve essere sempre assicurato l’interesse superiore del minore. Eventuali limitazioni sui modi di coinvolgere il piccolo in una religione scelta dal genitore non sono discriminatorie se sono funzionali ad assicurare e conservare la libertà di scelta del minore.

La Corte Europea dei Diritti dell’uomo aveva già evidenziato che le modalità pratiche per l’esercizio della potestà genitoriale sui minori non possono violare la libertà del ricorrente di manifestare la propria religione.

Lo scopo principale deve dunque essere quello di tutelare l’interesse superiore dei minori, che consiste nel “conciliare le scelte educative di ciascun genitore e nel cercare di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali”.