Avvocato Brescia | Spese di viaggio per la visita al minore: sono a carico esclusivo del genitore non collocatario
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Spese di viaggio per la visita al minore: sono a carico esclusivo del genitore non collocatario

Spese di viaggio per la visita al minore: sono a carico esclusivo del genitore non collocatario

Nel caso in cui il genitore non collocatario abbia sopportato delle spese di viaggio per l’esercizio del proprio diritto di visita al minore, le stesse non sono oggetto di ripartizione tra i genitori ma rimangono ad esclusivo carico del non collocatario, considerato che tali oneri sono inerenti strettamente al diritto di vista del genitore non collocatario e rientrano dunque tra gli esborsi destinati ai bisogni ordinari dei figli che, nel costante e prevedibile ripetersi di tali eventi, anche lungo intervalli temporali più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento.

Ad esprimersi in questo senso è la recente sentenza Cass. civ. sez. I 30 settembre 2022, n. 28483. Cerchiamo di riepilogare, in brevità, quali sono i principali spunti di valutazione di questo caso e quali le motivazioni assunte dai giudici della Suprema Corte.

Il caso

Il caso su cui si è espressa la Prima Sezione della Cassazione è legato alla crisi coniugale di una coppia e, in particolar modo, alla determinazione del contributo al mantenimento del genitore non collocatario, oltre che sui presupposti per il riconoscimento e la determinazione dell’assegno divorzile.

In particolare, il matrimonio dal quale è nato il figlio è andato incontro a una separazione consensuale omologata dal Tribunale, alla quale è seguito il divorzio. Con riguardo al figlio minore, il giovane è stato collocato presso la madre, che – secondo il Tribunale – godeva di una maggiore libertà dal lavoro rispetto al padre, e affidato a entrambi i genitori.

Sul padre è stato poi posto l’obbligo di contribuzione al mantenimento del figlio nella misura di 650 euro mensili, oltre al concorso paritario delle spese straordinarie. L’uomo è poi stato onerato della corresponsione di un assegno divorzile da 400 euro mensili.

Il padre impugna la sentenza ma viene in larga parte rigettata dalla Corte d’appello, con i giudici di seconde cure che si limitano a modificare i tempi di visita in senso più favorevole all’appellate e chiarire che ogni genitore si sarebbe dovuto far carico delle spese di viaggio dell’accompagnamento del figlio dalla casa di un genitore a quella dell’altro. Il padre ricorre quindi in Cassazione.

La valutazione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione afferma, nelle sue valutazioni, come già la Corte d’appello avesse correttamente giustificato la propria statuizione in punto di contributo al mantenimento del figlio minore rilevando come le spese per il suo mantenimento fossero aumentate (a causa della frequenza di corsi sportivi e formativi), risultando così questo aspetto idoneo a giustificare il mantenimento inalterato del contributo paterno, contro le richieste da parte del ricorrente.

Per quanto concerne la pronuncia sulle spese di viaggio per accompagnamento del figlio, la Cassazione nega l’esistenza di una pronuncia ultra petitum. Sono inoltre respinti anche i ricorsi legati al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno divorzile. Ma per quali motivi?

Le spese per l’esercizio del dovere – diritto di visita al minore

In questa breve disamina, concentriamoci esclusivamente sulle motivazioni che hanno indotto la Corte di Cassazione ad affermare che le spese per l’esercizio del dovere – diritto di visita del minore non siano ripartibili tra la coppia.

In particolar modo, la Corte ricorda come il ricorrente stia censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che quanto alle spese di viaggio che i genitori sostengono per accompagnare il bambino alla casa dell’altro, il buon senso degli stessi suggerirà loro di affrontare le spese relative a seconda di chi provvede all’incombente. La Corte d’appello, per il ricorrente, sarebbe anche incorsa nel vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., dando luogo a una reformatio in peius in danno dell’appellante.

Per i giudici della Suprema Corte, però, il motivo sarebbe infondato.

Premettono gli Ermellini che secondo l’orientamento consolidato della Corte non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate ex multis.

Ora, la Corte di appello, nel pronunciarsi in ordine alle spese di viaggio e alla loro ripartizione, non ha introdotto un’autonoma ratio decidendi. Si è invece limitata ad integrare la statuizione sull’assegno di mantenimento, senza che fosse necessaria una specifica impugnazione sul punto, posto che tali oneri, essendo inerenti strettamente al diritto di visita del genitore non collocatario, rientrano tra gli esborsi destinati ai bisogni ordinari del figlio che, come abbiamo già rammentato, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento.

Si consideri inoltre che, ai sensi dell’art. 9 della L. n. 898 del 1970, le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata “rebus sic stantibus“, rimanendo così suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, non risultando per l’effetto nemmeno configurabile la prospettata formazione del giudicato sulla ripartizione delle spese di viaggio.

Sono pertanto privi di fondamento sia il preteso vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata che la violazione del divieto di reformatio in peius.