Avvocato Brescia | La rinuncia del figlio maggiorenne al mantenimento fa venir meno l’onere del genitore obbligato?
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ragazzo maggiorenne con zaino rosso

La rinuncia del figlio maggiorenne al mantenimento fa venir meno l’onere del genitore obbligato?

Prima di passare al focus riguardante la rinuncia del figlio maggiorenne al mantenimento, spieghiamo brevemente cos’è l’assegno di mantenimento a favore dei figli.

I genitori hanno l’obbligo di mantenere la prole anche quando si separano o divorziano o cessa la convivenza. Il contributo viene fissato in sede giudiziale, ovvero in sede di separazione (o divorzio) oppure in sede di regolamentazione dei rapporti patrimoniali e personali con i figli (se nati fuori dal matrimonio).

L’assegno deve essere corrisposto mensilmente al figlio dal genitore collocatario per coprire le spese ordinarie (scuola, abbigliamento, ecc.).

Mantenere i figli è un obbligo ai sensi dell’art. 315 bis del Codice Civile e dell’art. 30 della Costituzione. I figli hanno diritto di essere mantenuti, istruiti, educati ed assistiti moralmente per il solo fatto di essere stati generati.

I genitori devono provvedere al mantenimento dei figli in base alle loro capacità economiche (c1., art. 316 c.c.). Nessun genitore può essere esonerato da tale obbligo, neanche quando decade la potestà genitoriale (attualmente chiamata ‘responsabilità genitoriale’).

L’assegno serve a garantire la tutela al minore, perciò è ritenuto per legge:

indisponibile: è impossibile rinunciarvi;

irripetibile: l’importo corrisposto non può essere restituito;

impignorabile: l’assegno non può essere pignorato da eventuali creditori;

non compensabile: il genitore tenuto a corrispondere l’assegno non può omettere di versarlo per compensare eventuali crediti vantati nei confronti dell’altro genitore.

Che succede in caso di figli maggiorenni?

 

La rinuncia del figlio maggiorenne al mantenimento è possibile?

L’obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli non decade con il raggiungimento della maggiore età. L’obbligo sussiste finché i figli non raggiungano una propria indipendenza economica senza loro colpa.

L’obbligo non può durare all’infinito e non sarebbe corretto che un genitore mantenesse un figlio nullafacente. Il diritto all’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne deve essere valutato, infatti, dopo aver accertato la sua condizione economica, l’impegno nella ricerca di un lavoro, il livello di competenza professionale e tecnica, la sua condotta (Cassazione sentenza 5088/2018, e sentenza 12952/2016).

A differenza dell’assegno a favore del figlio minore, quello per il mantenimento del figlio maggiorenne deve essere espressamente richiesto o dal genitore convivente con il figlio oppure dal figlio non economicamente indipendente che non convive con nessuno dei due genitori. In quest’ultimo caso, l’assegno verrà corrisposto direttamente al figlio richiedente, non all’altro genitore (Cassazione sentenza 25300/2013).

Nè il genitore convivente con il figlio né il figlio maggiorenne che ha diritto al mantenimento possono rinunciare all’assegno perché si tratta di un diritto indisponibile. Spetta al giudice decidere se revocarlo oppure no (Cassazione sentenza 32529/2018).

Oltretutto, per il figlio maggiorenne che svolge un’occupazione precaria (che non garantisce continuità o un reddito sufficiente) non si esclude automaticamente il mantenimento, mentre un lavoro stabile fa cessare il diritto.

Se vi sono i presupposti, il figlio maggiorenne che perde il diritto al mantenimento può sempre richiedere un assegno alimentare (art. 433 c.c.).

Revoca dell’assegno: quando il genitore può chiederla?

In qualsiasi momento, il genitore può chiedere la revoca dell’assegno se dimostra che il figlio maggiorenne ha raggiunto un livello di reddito in grado di renderlo autosufficiente.

Il diritto al mantenimento può cessare anche quando il figlio maggiorenne non ha l’autosufficienza economica. Succede quando il genitore dimostra che il figlio:

– non lavora per sua inerzia o per un suo ingiustificato rifiuto, quindi per sua colpa;

– non conclude il percorso di studi, si dimostra negligente nel sostenere gli esami;

– non dimostra nessun interesse nel ricercare la propria indipendenza economica.

In sostanza, il figlio maggiorenne non ha diritto all’assegno quando tiene un comportamento inerte, rifiuta di lavorare o studiare ed abusa del diritto al mantenimento.

Spetta al genitore tenuto a passare l’assegno dimostrare i suddetti comportamenti allegando le circostanze del fatto che comprovino l’inettitudine o negligenza del figlio.

L’inerzia colpevole del figlio è esclusa in alcuni casi: problemi di salute o personali, difficoltà di trovare o conservare l’occupazione (Cassazione sentenza 12952/2016).

Ordinanza n. 32529/18 della Corte di Cassazione: mantenimento dovuto nonostante la rinuncia del figlio

Nel 2018, la Suprema Corte si è pronunciata sul tema del contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne. In particolare, si è soffermata sulla rilevanza della rinuncia del figlio all’assegno di mantenimento versato dal genitore collocatario.

Ai sensi dell’art. 337 del Codice Civile, l’assegno può essere versato direttamente all’avente diritto (ovvero il figlio), salva diversa determinazione del giudice. Tale specifica non esclude che l’assegno possa essere corrisposto al genitore con cui il figlio convive: di conseguenza, il contributo può essere richiesto anche dal genitore affidatario.

La rinuncia del figlio maggiorenne al mantenimento fa venir meno l’onere del genitore obbligato?

Con l’ordinanza del 14 dicembre 2018, n. 32529, la Corte di Cassazione si è pronunciata in una controversia relativa alla modifica delle condizioni economiche sul mantenimento della figlia maggiorenne in riferimento al contributo versato all’ex coniuge ed all’assegnazione della casa familiare.

L’ex marito in questione (genitore collocatario) ha proposto ricorso contestando che la figlia maggiorenne, fin dal 2011, aveva svolto alcune attività lavorative part-time ed aveva vissuto anche fuori per un certo periodo.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso chiarendo che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’importo dell’assegno. Può, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell’attribuzione del contributo, limitarsi a verificare se e in quale misura le circostanze sopravvenute abbiano o meno alterato l’equilibrio adeguando l’importo alla nuova situazione patrimoniale per giustificati motivi ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti che esulano da fatti preesistenti.

In altre parole, la revisione del contributo al mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti) non può, di fatto, superare le disposizioni adottate in sede di divorzio a meno che non siano ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, che modificano la situazione rispetto alla sentenza emessa o agli accordi precedentemente stipulati. Restano irrilevanti i fatti preesistenti, non considerati in quella sede per nessun motivo.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 32529/2018, ha pertanto ricordato che l’obbligo di mantenere il figlio non cessa col raggiungimento della maggiore età, bensì si protrae se il figlio maggiorenne, senza sua colpa, risulta ancora dipendente dai genitori. Di conseguenza, nell’ipotesi in oggetto, il coniuge (separato o divorziato) affidatario è legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro coniuge l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne.

Un figlio maggiorenne non ancora autosufficiente non può rinunciare al mantenimento; pur facendolo, tale atto (formulato per iscritto e datato) non vincola il giudice e non produce effetti per il genitore affidatario in quanto si tratta di un diritto indisponibile. Soltanto il giudice può valutare cosa è meglio per il figlio.

La rinuncia della figlia maggiorenne è irrilevante: ciò che conta, per i Giudici, è la constatazione della non autosufficienza economica della ragazza. In sostanza, l’eventuale rinuncia del figlio al diritto di mantenimento (a prescindere dalla sua invalidità o dal disconoscimento del diritto in sede di procedura ex art. 710 c.p.c.) non può in nessun caso avere effetto sulla posizione giuridico-soggettiva del genitore affidatario quale autonomo destinatario dell’assegno (sentenze n. 1353/1999 e n. 11648/2012 della Corte di Cassazione). Il genitore collocatario dovrà, pertanto, continuare a versare il mantenimento nonostante la rinuncia del figlio.

Ricordiamo che il genitore obbligato non può scegliere il soggetto beneficiario dell’adempimento (Cass. n. 24316/2013). Di conseguenza, la mancata richiesta dell’assegno da parte del figlio maggiorenne economicamente non indipendente giustifica la legittimazione da parte del genitore con lui convivente a riceverlo